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Esecutività provvisoria delle sentenze delle Commissioni Tributarie

in Rassegna Tributaria n.1/2006

1. Premessa

Le riflessioni oggetto di questo scritto concernono la complessa problematica relativa  all’efficacia delle sentenze delle Commissioni tributarie  non passate in giudicato perché già impugnate o perché sono ancora pendenti i termini del gravame. Si tratta di stabilire se, e in quali limiti, sia vigente, nel processo tributario, il principio, che costituisce la regola nei giudizi civili ed ordinari ed in quelli amministrativi, secondo cui tali sentenze sono immediatamente esecutive, ancorché siano previsti rimedi che consentono ai giudici di sospenderne l’esecutività.

Come è noto, l’argomento presenta rilevanti implicazioni di carattere pratico e, ancor più, sistematico, attingendo alla tematica della natura e dell’oggetto del processo tributario. Il riconoscimento della diretta efficacia esecutiva della sentenza, infatti, conduce a ritenere che essa  - conformemente a quanto accade nel processo civile-, nel caso di cui si occupa, statuisce direttamente sul rapporto  d’imposta, sostituendo l’atto impositivo oggetto del giudizio.

Pertanto, il giudice non si limita a vagliare la legittimità dell’atto, ma accerterebbe anche le conseguenze collegate dalla legge al realizzarsi del presupposto d’imposta lato sensu,partecipando alla funzione dell’imposizione tributaria, sul presupposto che essa non sia stata correttamente svolta dagli organi di amministrazione attiva.

Per contro, il diniego dell’efficacia immediata è in linea con l’orientamento per   cui il processo tributario è sempre di impugnazione di un atto di imposizione e, in nessun caso, la sentenza è sostitutiva dello stesso, anche quando, il ricorso è parzialmente accolto. La statuizione del giudice tributario non prende il posto dell’atto impugnato, il quale resta in vita, ancorché parzialmente annullato

2. Il quadro normativo.

Il corretto approccio al problema esige la ricognizione delle disposizioni in materia del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che non contiene una regola di carattere unitario, suscettibile di operare in relazione a tutte le sentenze, bensì presenta un quadro normativo articolato e non esaustivo (con riguardo alla tipologia delle sentenze).

Le disposizioni che vanno considerate sono gli articoli 49, 68, 69 e 70 d. lgs. n. 546/92; nonchè il d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in tema di sanzioni amministrative-tributarie, prevede agli articoli 18 e 19 un’apposita disciplina per le sentenze in materia.

La prima di dette norme, l’art. 49, richiama nel nostro processo l’intera disciplina del codice di procedura civile sulle impugnazioni in generale, ma espressamente esclude l’applicabilità dell’articolo 337 c.p.c., il quale prevede la normale esecutività della sentenza, stabilendo che non è sospesa l’esecuzione per effetto dell’impugnazione, tranne che la sospensione non venga disposta dal giudice nelle fattispecie previste dalla legge. E l’esclusione concerne, conseguenzialmente, anche l’art. 282 c.p.c., che, con specifico riguardo alle sentenze di primo grado, dispone che esse sono provvisoriamente esecutive tra le parti.

Il riferimento al codice di procedura civile impone due precisazioni. La prima attiene al significato che l’esecutività provvisoria assume negli articoli 337 e 282 c.p.c. Essa, chiaramente, designa l’anticipazione dell’efficacia della sentenza rispetto al passaggio in giudicato, ma è dubbio se sia limitata all’esecutività stricto sensu, intesa come idoneità della sentenza ad essere portata ad esecuzione, dunque, a costituire il titolo per l’esecuzione forzata, ovvero si riferisca anche ad altre manifestazioni dell’efficacia della sentenza relative ad attività che vanno poste in essere per dare attuazione alla sentenza.

L’orientamento maggioritario è nel primo senso, per  cui l’esecutività provvisoria si ritiene limitata alla sentenza di condanna suscettibile di esecuzione forzata;  l’altro orientamento, invece, esclude che vi sia una correlazione necessaria fra pronunzie di condanna ed esecuzione e ritiene provvisoriamente esecutive anche le sentenze costitutive che richiedano successive attività attuative, ancorché non di esecuzione forzata, per il regolamento di interessi stabilito in sentenza.

La seconda precisazione, concernente direttamente il significato dell’esclusione di cui all’art. 49, è che dalla norma non si ricava, come talvolta si è ritenuto, un precetto in forza del quale le sentenze tributarie non passate in giudicato sono in via di principio sempre prive di efficacia esecutiva. La disposizione, per contro,  in aderenza all’enunciato testuale, si limita ad escludere che quella norma sia utilizzabile nel processo tributario, nel quale non vige, dunque, un principio generale di esecutività delle sentenze. La disciplina dell’efficacia delle sentenze tributarie va, quindi, ricostruita, in via di principio alla stregua delle suindicate norme del  d. lgs. n. 546/92.

3.  Sentenze di condanna dell’Amministrazione.

Il d. lgs. n. 546/92, nelle disposizioni innanzi richiamate, si occupa specificamente, da un lato, delle sentenze di condanna dell’amministrazione al pagamento di somme, a prestazioni di facere o altri comportamenti attuativi e, da un altro,  delle sentenze rese su ricorsi proposti dal contribuente contro atti impositivi concernenti il pagamento dei tributi. Non considera, invece, le sentenze aventi un diverso contenuto, tanto di carattere sostanziale, che sono in via di principio sentenze costitutive (ad esempio, concessione di un’agevolazione negata dall’Amministrazione), quanto di natura processuale.

Ora, per quanto concerne le sentenze di condanna, va detto che tale qualifica è attribuita ai sensi degli artt. 69 e 70 c.p.c., esclusivamente alle condanne emesse nei confronti dell’ente impositore o del concessionario della riscossione. Tali sentenze, per altro, non sono soltanto quelle concernenti il pagamento di somme (in pratica, relative a domande di rimborso), suscettibili di esecuzione anche secondo la normativa civilistica (ex art. 69), ma pure quelle che impongono l’emanazione di un provvedimento dell’Amministrazione, suscettibili di esecuzione solo ai sensi dell’art. 70 citato.

Tali sentenze acquistano efficacia esecutiva, soltanto, con il passaggio in giudicato, come espressamente stabiliscono le dette disposizioni che consentono: il rilascio del titolo esecutivo (ex art. 69) e l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza (ex art. 70), alla condizione che la sentenza sia passata in giudicato, per esaurimento di tutti i gradi del giudizio o per scadenza dei termini di impugnazione.

4. Sentenze nei confronti dei contribuenti relative al pagamento dei tributi.

Un diverso e più articolato discorso va fatto per le sentenze di cui all’art. 68, rese su domanda di annullamento totale o parziale dell’atto impugnato.

Tali sentenze possono essere: a) di rigetto del ricorso, le quali lasciano fermo il provvedimento impugnato, accertando l’insussistenza dei vizi denunciati e/o l’esistenza dell’obbligazione tributaria racchiusa nell’atto;b) di accoglimento integrale del discorso, con consequenziale annullamento del provvedimento impugnato, che viene eliminato dal mondo giuridico (ma la pronuncia può non arrestarsi alla mera eliminazione, come quando venga adottata una determinazione chiesta dal ricorrente: ad esempio, concessione di un’agevolazione); c) di accoglimento parziale del ricorso, nel qual caso il giudice deve determinare ex novo l’ammontare del tributo o della sanzione irrogata .

Avuto riguardo alla classica distinzione tra sentenze di  accertamento e sentenze costitutive, non è dubbio che nelle ipotesi sub b) e c) le sentenze hanno carattere costitutivo, in quanto eliminano l’atto impugnato e ne modificano il contenuto, statuendo sul rapporto giuridico ad esso correlato.

Quanto all’ipotesi sub a), la sentenza accerta l’esistenza degli elementi posti a base della pretesa fiscale e, quindi, la legittimità dell’atto impugnato, che resta in vita , con la conseguenza che la sentenza può essere qualificata di accertamento, al pari di quelle che, nel processo civile, si limitano a dichiarare l’esistenza o l’inesistenza di un diritto o di un rapporto giuridico.

A parte ciò, quel che rileva agli effetti che qui interessano è che tali sentenze, ancorché non siano di condanna, sono ex legeimmediatamente produttive di effetti giuridici previsti dall’art. 68 in relazione a quattro distinte fattispecie, correlate, per un verso al contenuto della sentenza e, per un altro verso ai versamenti già effettuati dal contribuente in base all’esecuzione del provvedimento impositivo in pendenza del ricorso.

Il primo comma della disposizione concerne le ipotesi in cui il contribuente, in base alla statuizione adottata dalla Commissione tributaria provinciale, sia tenuto in tutto o in parte al pagamento del tributo preteso con l’atto impugnato, come può accadere anzitutto nei casi di integrale rigetto o di parziale accoglimento del ricorso.

Nel primo caso menzionato sub a), sebbene l’accertato è dovuto per intero, il tributo è dovuto nel limite dei due terzi dell’ammontare originario richiesto. E l’efficacia immediata della pronuncia si coglie agevolmente in ciò, che essa costituisce il titolo necessario per la riscossione del tributo, non venendo più in rilievo l’efficacia esecutiva propria dell’atto impositivo, che è limitata alla riscossione provvisoria in pendenza del ricorso, cioè prima della sentenza della commissione tributaria provinciale.

Nel caso poi che il ricorso sia parzialmente accolto, il tributo dovuto è quello risultante dalla sentenza della commissione che ugualmente produce effetti immediati, sostituendosi quale titolo per la riscossione al provvedimento impugnato, che opera solo come parametro di riferimento ai fini dell’ammontare massimo dovuto, che non può superare i due terzi della somma con detto atto pretesa, id est dell’imposta inizialmente accertata.

Infine, con riferimento alla decisione resa in caso di appello, la norma ugualmente stabilisce che è dovuto il tributo “determinato nella sentenza” della Commissione tributaria regionale. Il titolo della riscossione è, manifestamente, tale sentenza e non certo l’atto impugnato, come si evince dal tenore testuale della norma.

La quarta fattispecie è regolata nel secondo comma dell’art. 68, il quale prevede  che, in caso di accoglimento, anche parziale , del ricorso del contribuente (in  primo grado e - occorre ritenere - pure in grado di appello), l’amministrazione è tenuta a rimborsargli, entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza, ancorché non definitiva, quanto corrisposto in eccedenza rispetto all’ammontare del tributo determinato dalla Commissione tributaria.

In sostanza, la disposizione si applica alle ipotesi in cui non opera la riscossione frazionata - di cui al primo comma - perché il tributo è già stato corrisposto dal contribuente in misura superiore a quella determinata dalla Commissione tributaria, sicché dalla sentenza deriva soltanto un credito del contribuente.

Non occorre, quindi, prendere posizione sui numerosi problemi che suscita la disposizione, segnatamente quanto all’esercizio del diritto del contribuente alla restituzione, nel caso che a ciò non provveda spontaneamente l’ufficio nel termine suddetto. Qualunque opinione si abbia a riguardo, è certo che la sentenza è così immediatamente produttiva di effetti, cioè ha immediata efficacia esecutiva, sostituendo o modificando l’atto amministrativo impugnato, giacché sul contribuente non solo non deve corrispondere alcuna somma, ma ha diritto alla restituzione di quanto pagato in eccedenza.

Pertanto, sembra plausibile che la pronuncia giurisdizionale della Commissione tributaria si sostituisce al provvedimento amministrativo impugnato, il cui contenuto resta in vita nella misura in cui è recepito da detta sentenza; e il titolo per il diritto del contribuente al rimborso è costituito ovviamente, da detta pronuncia.

E’ appena il caso di osservare, infine, che la norma non considera espressamente le ipotesi in cui, per effetto della pronunzia della Commissione, il contribuente non risulti creditore dell’amministrazione (perché, ad es., non ha eseguito alcun pagamento in base all’atto impugnato). In tale ipotesi, infatti, l’interesse del medesimo è soddisfatto dall’immediata efficacia elisiva-sostitutiva della sentenza, che non ha bisogno di  un’ulteriore attività attuativa.

5. Esecutività delle sentenze di cui all’art.68 d. lgs.n.546/92

Alla stregua di tale disciplina, deve convenirsi, anzitutto, che le sentenze tributarie, diverse da quelle di condanna dell’ente impositore, sono immediatamente  efficaci e ne legittimano l’esecuzione, a prescindere dal passaggio in giudicato, costituendo titolo per la riscossione del tributo, ovviamente nelle forme previste dalla legge e nei limiti stabiliti dall’art. 68 citato.

Questa conclusione trova puntuale riscontro, del resto, nell’art. 18 del d. lgs. n. 472/97, in tema di sanzioni il quale dispone, appunto, che “le decisioni delle Commissioni tributarie (e dell’autorità giudiziaria ordinaria, previsione superata dall’attribuzione dell’intera giurisdizione alle commissioni ) sono immediatamente esecutive nei limiti previsti dall’art. 19”, la quale norma - come già si è avvertito - rinvia alla disciplina  di cui all’art. 68 del d. lgs. n. 546/92. E tale ultima disposizione è significativamente inserita, come pure si è avvertito, in un capo dedicato all’“esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie”.

In secondo luogo, e sul piano sistematico, non appare condivisibile l’opinione secondo cui le sentenze del giudice tributario, non sono mai sostitutive dell’atto impugnato. Questa affermazione non sembra fondata perché vi sono sentenze del giudice tributario che direttamente sostituiscono il provvedimento impugnato, quali sono, ad esempio, le sentenze rese dalle Commissioni sui ricorsi con cui vengono impugnati i provvedimenti di diniego di un’agevolazione fiscale o il classamento di un immobile: la sentenza che accogliendo il ricorso, dichiara la spettanza dell’agevolazione sostituisce in toto il provvedimento impugnato. Lo stesso deve dirsi nel secondo caso in materia di attribuzione di rendita catastale, posto che la Commissione, accogliendo il ricorso, attribuisce all’immobile un classamento diverso da quello stabilito dall’Ufficio.

Non è condivisibile, si ritiene, anche  nelle ipotesi di cui all’art. 68 citatoperché, in conformità alla funzione propria della giurisdizione, anche quando pervenga al rigetto del ricorso, la sentenza accerta, ancorché nei limiti della contestazione, l’esistenza dei presupposti dell’obbligazione tributaria; cosa che può fare - e normalmente fa - anche sulla base di prove, esplicitate in sede di giudizio dall’amministrazione, diverse da quelle addotte con riferimento all’atto impugnato. Non è giudizio espresso solo sulla base degli atti e degli elementi in esso indicati, ma anche in base ai fatti dedotti dalle parti. Del resto, tutte le sentenze hanno un’eliminabile contenuto di accertamento, anche quando costituiscono, modificano o estinguono un rapporto giuridico. E l’accertamento è rivolto direttamente all’esistenza e all’entità dell’obbligazione tributaria e, solo di riflesso, alla legittimità o meno del provvedimento impugnato.

In questo senso è ormai concorde la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice non si limita ad eliminare in tutto o in parte l’atto impugnato, ma lo sostituisce con una propria determinazione dell’obbligazione tributaria.

6. Conclusioni.

In definitiva, può dirsi che nel processo tributario hanno immediata efficacia esecutiva, secondo la disciplina dettata dall’art. 68 d. lgs. n. 546/92, le sentenze che hanno ad oggetto l’impugnativa di atti di imposizione relativi all’esistenza e all’entità del tributo; cioè le sentenze concernenti   la determinazione e il pagamento del tributo dovuto.

Non hanno immediata efficacia esecutiva, invece, e perciò sono eseguibili solo dopo il passaggio in giudicato, le sentenze di condanna dell’ente impositore, tanto se obbligano l’amministrazione al pagamento di somme, quanto se impongono un comportamento diverso.

Ugualmente non hanno immediata efficacia esecutiva le sentenze concernenti provvedimenti diversi da quelli innanzi considerati, quali le sentenze attinenti alla spettanza di benefici fiscali, alla chiusura delle liti pendenti, al classamento degli immobili, ecc. Come si è visto il d. lgs. 546/92 nulla prevede per tali sentenze,  ma - escluso che sia applicabile il principio di immediata esecutività sancito dall’art. 337 c.p.c. - alla conclusione negativa sembra  doversi pervenire in base al principio generale sancito dall’art. 2909 del c.c., per cui gli effetti della sentenza si producono con il passaggio in giudicato, quando si sia formato, il giudicato formale.

Questa disciplina, che consente di procedere all’esecuzione coattiva, solo delle sentenze da cui derivi un credito dell’erario, giustamente viene sospettata di incostituzionalità sotto il profilo della violazione degli art. 3, 24 e 111 Cost. Infatti, la disparità di trattamento tra fisco e contribuente, non sembra giustificata non potendo la esecuzione della sentenza far leva su un diverso tenore delle statuizioni in esso contenute, laddove il beneficiario delle stesse sia l’ente impositore oppure il contribuente; né d’altro canto tale irrazionale scelta del legislatore fiscale può essere giustificato da un eventuale diverso spessore dei contrapposti interessi che si fronteggiano in giudizio.

  DOMENICO MARTINI

 Professore a contratto di Diritto Tributario nell’Università  di Cassino

 Tale risulta l’orientamento prevale della Corte di Cassazione, che annovera il processo tra quelli di impugnazione-merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito sostitutiva dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria  Cass. 23 maggio 2005, n. 10867;  Cass. 23 marzo 2001, n. 4280; Cass. 23 dicembre 2000, n. 16171. In dottrina, RussoManuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005.

 Tesauro.Istituzioni di diritto tributario, Settima edizione,  373;RandazzoL’esecuzione delle sentenze tributarie, Milano 2003, 112/120.

 La tesi argomentata, sul piano normativo, sia dal disposto degli articoli 431 e 447 bis c.p.c., che conferiscono l’esecutorietà ex lege alle sentenze di condanna a favore del datore di lavoro in materia di locazione, e dell’articolo 283 c.p.c, che consente la sospensione iussu iudicis dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza, tipica delle pronunzie di condanna; inoltre, sul piano sistematico, viene invocato l’articolo 2909 c.c., che in via di principio ricollega il prodursi di tutti gli effetti della sentenza al suo passaggio in giudicato formale. Così fra altri, Consolo, Luiso, SassoniCommentario alla riforma del processo civile, Milano 1996, 262; Attardi, Diritto processuale civile, Parte generale.; Monteleone, Esecuzione provvisoria, in Discipline privatistiche, Sezione civile, volume VII, Torino 1991, 646.

 E il requisito dell’esecutività si riscontra anche in relazione  allo spontaneo adeguamento alla pronuncia delle parti o di terzi, Proto Pisani, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva ( e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. Dir. proc. civ., 1991, 61;Mandrioli, Diritto processuale civile, vol. II, Torino, 2003, 257; Carpi ,La provvisoria esecutorietà, Milano, 1979, 70.

Vedere sub art. 282 del Commentario al codice di procedura civile,  Picardi.

Glendi, Rapporti tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in Dir. prat. tribut., 2000,  1766.

 Secondo l’opinione più accreditata i due terzi vanno calcolati con riguardo al maggior tributo accertato, cioè alla differenza tra l’imposta complessivamente accertata e quella corrispondente all’imponibile dichiarato, vedi sub art. 68 d. lgs n. 546/92, BaglioneMenchini eMiccinesi, Il nuovo processo tributario. Commentario, seconda ediz., Milano, 2004 .

 In ciò il Tesauro ravvisa una disparità di trattamento: V. Tesaurovoce Processo tributario, in Discipline privatistiche Sezione commerciale, Agg., Torino 2000, 589, nota 236.

Una particolare annotazione va fatta con riguardo all’immediata efficacia della sentenza della Commissione tributaria regionale che abbia riformato la sentenza della provinciale in base alla quale se era avuta iscrizione provvisoria a ruolo ( dei due terzi) del tributo con essa ritenuto dovuto. La sentenza di riforma travolge l’iscrizione a ruolo provvisoria, ancorché non impugnata, e rende indebito il pagamento in base ad esso eseguito, a nulla rilevando l’esistenza di detto atto di iscrizione. Ciò si ritiene alla stregua dell’art 336, comma 2, c.p.c., che disciplina il cosiddetto effetto espansivo esterno. Sul punto Commentario di Glendi, sub art. 68, 587.

In proposito si registrano sostanzialmente tre orientamenti: secondo un primo indirizzo, la domanda di restituzione potrebbe essere proposta nel successivo grado del giudizio, cioè in appello, analogamente a quanto dispone l’art. 389 c.p.c. per le domande di restituzione o di riduzione in pristino a seguito della sentenza di Cassazione; secondo un altro indirizzo, che sembra preferibile, per ottenere l’attuazione coattiva della pronuncia andrebbe eseguito lo stesso procedimento previsto per le ordinarie domande di rimborso; infine,  si è ritenuto che a fronte dell’obbligo dell’Amministrazione non si configuri un corrispondente diritto del contribuente, e perciò, prima del passaggio in giudicato della pronuncia favorevole, sarebbe privo di tutela.

Così, invece, Tesauro, Istituzione di diritto tributario  Torino 2004,  373.

E’ pacifico che ai sensi dell’art. 7 d. lgs. n. 546/92, possono essere addotti elementi probatori diversi da quelli enunciati nell’atto, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti.

Ex plurimis, Cass. 23 marzo 2001, n. 2480: “il giudice il quale ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve, scendendo nel merito, quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitumdelle parti”.

In questi sensi, Russo, op. già citata, 310 e ss., nonché Cantillo,Giusto processo e contenzioso tributario, relazione al convegno di Studio “Fisco 2000” svoltosi a Firenze il 3 marzo 2000.